giovedì 4 dicembre 2014

Materialismo contro pessimismo cosmico: Voltaire e Rousseau

Storicamente parlando, il terremoto di Lisbona avenne l'1 novembre 1755. Analizzando la data, il terremoto ebbe luogo un giorno prima della commemorazione dei defunti, quasi ci fosse stato un segnale per l'avvenimento successivo. Come se il giorno dopo gli abitanti di Lisbona – quelli che sarebbero sopravvissuti – avrebbero dovuto commemorare più morti del solito.

In effetti, sembra quasi una battuta, eppure i contemporanei della seconda metà del Settecento rimasero sopraffatti davanti a tale evento né programmabile quanto catalogabile; in particolare, dalla prospettiva dell'Illuminismo e dai suoi due maggiori esponenti: Voltaire e Rousseau. Più che altro, a generare un input polemico è il primo, mentre il secondo si appresta solo a controbattere le teorie dell'autore del Candido. Proprio in quest'opera, Voltaire critica mediante il personaggio Candido una realtà che non è «la migliore dei mondi possibili», secondo quanto espresso dalle concezioni leibniziane.

Il terremoto di Lisbona ha portato Voltaire a modificare i principi su cui credeva, persino sull'ottimismo illuministico. L'idea che Dio, inteso come ente che regola tutto con uno specifico ordine logico, avesse commesso una eccezione alla regola non era difatti più accettata dal filosofo francese, il quale – tuttavia – nel suo Poème avanzò l’accusa solo su di Lui.

Il concetto di un Dio malevolo non viene visto bene dai suoi contemporanei, che si affidano al filosofo del III secolo Lattanzio, che giunge alla conclusione che ciò che Dio fa è voluto e potuto e, essendo Bene per definizione, il Male non può essere associato a Dio. Se dunque con Voltaire si vede un mondo, caotico e incomprensibile, dove Dio appare tutt'altro che regolato da logica e ordine, in cui è presente il male, con Rousseau la concezione diventa più materialistica, rasentando addirittura il pessimismo antropologico.
Secondo lui, se Dio è intoccabile, allora la responsabilità dell'accaduto può solo essere assoggettata all'uomo, non tanto per aver provocato il terremoto, quanto per essere stato l'autore di un genocidio. Dice il filosofo: «Se gli abitanti di quella grande città fossero stato distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento. […] Ciascuno sarebbe scappato alle prime scosse e si sarebbe ritrovato l'indomani a venti leghe di distanza».

Ma, come è stato detto prima, Rousseau non incolpa esplicitamente l'uomo per aver generato il terremoto; la causa è dunque ignota, anche se alcuni religiosi del tempo, con teorie pseudo-teologiche, riversarono il movente del terremoto alla cupidigia monetaria dei lisbonesi. Ma, come ben si sa, anche altre città erano ricche, economicamente parlando.

Nemmeno i nostri geologi contemporanei avrebbero potuto arrivare alla dinamica dell'evento, sebbene abbiamo nella diagnosi dell'accaduto un'impostazione fisico-matematica. Comunque sia, la radice del problema non può essere associata né agli uomini né a Dio, ma deve essere studiata. E polemiche simili non fanno altro che ostacolare la ricerca della vera realtà dei fatti.

L'unica soluzione, dunque, è conciliare le varie ipotesi, giungendo alla soluzione pragmatica di scarto delle tesi fittizie od ostacolanti. La sola disciplina che permette di conoscere la radice fisica dell'evento, a cui dobbiamo collaborare, è la scienza, che pone effettivamente le basi delle conoscenze empiriche certe. Per collaborazione si intende l'allontanamento dal sapere precostituito, come suggerisce lo stesso metodo scientifico, e l'analisi accurata degli eventi tangibili mediante l'osservazione in tutte le sue sfaccettature. Può darsi che con questa metodologia i geologi avrebbero potuto raggiungere l'esito ricercato: la causa del terremoto, in questo caso. 

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